Molto spesso, e soprattutto nelle imprese di piccole dimensioni i cambiamenti associati a fattori esterni sono sempre più motivo di sofferenza piuttosto che come opportunità per affrontare il futuro.
Nuovi mercati, nuovi competitor, nuovi clienti, nuovi collaboratori, nuovi canali di vendita e nuove forme di relazioni commerciali, sempre più lasciano i manager o i vertici dell’azienda a bocca aperta: “Non è possibile, ho appena finito di aggiornare il software della produzione” oppure “come è possibile che sia nata un’altra figura professionale da inserire all’interno del team, e perché i miei dipendenti non possono imparare quella attività?”
Queste e molte altre sono le domande che si pongono le aziende e molto spesso per fatica o per dubbiosità sull’effettiva convenienza di aggiornare continuamente la propria vision tendono a rimanere cristallizzate nella propria area di confort senza nemmeno provare ad uscire.
Le loro credenze si basano sui pilastri del passato, sul “se fino ad oggi mi è andata bene così, e ancora oggi sono sul mercato…. perchè dovrei cambiare?”
Questo atteggiamento tuttavia non nasconde i suoi risvolti, come ad esempio la modalità lamentosa.
Quanto spesso sentiamo nelle aziende che i dipendenti sono scontenti, oppure i manager frustrati perché gli stessi obiettivi che avevano negli anni passati sono più difficili da raggiungere? Ed è forse questo il nocciolo centrale della discussione….
Perché continuare a pensare che la soluzione al problema di ieri sia l’unica o comunque la stessa per il problema di oggi e per il problema di domani?
Mantenere rigidi i propri schemi mentali fa sì che la soluzione al problema non sia mai trovata per intero ma serva solo come “tappa buchi” ad un problema emergenziale.
Al dover sempre cambiare si accosta, di conseguenza, lo stress, la frustrazione ed il non appagamento.
Non è un caso infatti che tra i due terzi ed il novanta per cento di tutti i dipendenti, siano insoddisfatti e infelici, si lamentano meno dello stress e più della noia sul lavoro. Ma cosa davvero scaturisce questa condizione di insoddisfazione perenne? Forse sarà davvero questa resistenza al cambiamento a far sì che tutto il mondo sia sempre fermo quando poi è scientificamente provato che tutto cambia e tutto è in movimento….e prima di ogni cosa noi esseri umani!
Confucio dice: “Chi vuole essere sempre felice, deve cambiare spesso” e questo non è mai stato così vero come ai giorni nostri. Si deve cogliere l’attimo e non lasciarselo sfuggire sia che si tratti di una persona singolarmente che di un’impresa. Non solo, è importante adattarsi velocemente a questi cambiamenti perché tutto scorre e anche molto velocemente.
Keynes affermava già nel 1930 : “stiamo soffrendo, non per i reumatismi della vecchiaia, ma per i dolori crescenti di cambiamenti troppo rapidi, per il dolore del riadattamento tra un periodo economico e l’altro. L’aumento dell’efficienza tecnica è stato più rapido di quanto possiamo affrontare con il problema dell’assorbimento del lavoro….”
Oggi tutto questo si realizza di fronte ai nostri occhi, elementi di arredamento sempre più tecnologici, la domotica sta prendendo sempre più campo nelle nostre vite, adesso tutto è più facile basta avere uno smartphone, poi tutto è comandabile da un semplice schermo di meno di 10 pollici.
Rispetto al dopoguerra quindi tutto si è mutato ad una velocità pazzesca e stiamo parlando di solo 70 anni….ma oggi non si può parlare più di cambiamenti annuali ma di cambiamenti al secondo….ed il successo non è più direttamente proporzionale a potere e denaro. Questo lo sanno molto bene le generazioni dai Millennials alla X generations….oltre che all’ultimizza generazione Z.
E se questo è ciò che comporta per una singola persona, possiamo solo provare ad immaginare cosa potrebbe significare per un’azienda. Non si parla però delle grandi realtà che sono più propense ad accettare il cambiamento e hanno budget più grandi da poter spendere per guidare la propria ciurma nel processo di adattamento.
Gandhi diceva “Sii tu stesso il cambiamento che desideri per questo mondo” e non c’è nient’altro di più vero. Il cambiamento infatti è una parte normale di ogni essere umano e significa lavorare su se stessi e in se stessi, le persone che non affronteranno il cambiamento sotto quest’ottica troveranno molto difficile in futuro condurre una vita serena. Ovviamente non escludiamo che il cambiamento sia solo positivo; ci sono situazioni che nel cambiamento portano peggioramenti nella condizione lavorativa o personale.
Ecco in quei casi il cambiamento non va preso come una resistenza ma come un’opportunità per capire davvero cosa c’è dentro di noi che non ascoltiamo.
Contornarsi di persone che non perdono occasione per farti sentire demotivato o demoralizzato portano con il tempo anche a sviluppare patologie fisiche non poco debilitanti. E allora perché sopportare tutto questo?
Il cambiamento va inteso come un compito comune che deve partire da un atteggiamento positivo del singolo. Chi inizia il cambiamento ha anche il compito di conquistare le persone, ispirarle e accompagnarle attivamente sulla strada del cambiamento.
Nelle aziende questo è compito dei dirigenti che però devono porsi degli obiettivi specifici e chiari. Se gli obiettivi non sono chiari si genera disorientamento e incertezza, che porta a sua volta ad incertezza del futuro.
Ma senza guardare solo la scala gerarchica dall’alto verso il basso, anche i manager a loro volta devono credere al potere del cambiamento, altrimenti tutto il processo fallisce.
Inoltre, mai etichettare la resistenza come negativa. Sappiamo che la reazione umana ad un cambiamento non previsto è la negazione di esso. Se non esistesse la negazione infatti non potremmo lavorare affinchè essa stessa scompaia e diventi a sua volta terreno fertile per il cambiamento. Il direttore generale o il manager che non vede la resistenza come una risorsa importante per il processo di cambiamento e sa come usarla sottovaluta di conseguenza il potere della negazione e l’aspetto positivo in questo stato percepito negativamente.
Per poter procedere ad iniziare un progetto di cambiamento è necessario dotarsi di tempo e fondi monetari. In assenza di essi il progetto non potrà partire e magari le tante belle parole durante il discorso di fine anno ai propri dipendenti sull’importanza del cambiamento diventano come fumo in aria facendo perdere di credibilità colui che le ha dette.
Per poter iniziare qualsiasi processo di cambiamento è importante guardarsi dentro come abbiamo detto poche righe sopra, lo stesso vale per le realtà aziendali. Che tipo di cultura aziendale si è costruita durante il tempo? E’ possibile iniziare un processo di cambiamento?
Le risposte a queste domande sono importanti! Una cultura aziendale satura, compiacente e arrogante è un veleno per cambiamenti importanti.
Anche qua ci viene in soccorso un famoso detto: “Date al vostro concorrente 30 anni di successo affinchè possa distruggersi da solo”.
Vigilanza, curiosità, apertura mentale, costante messa in discussione delle proprie prestazioni, reale attenzione al cliente e la consapevolezza che il successo precedente non è garanzia di successo futuro sono gli elementi costitutivi di una cultura aziendale attenta che vive il cambiamento come un’opportunità.
La formazione sul tema del cambiamento non è un’opzione, ma appartiene all’ABC dei manager efficaci, perché processi di cambiamento mal gestiti consumano motivazione e tempo.
Ci viene in aiuto, a conclusione di questo articolo, T.S. Eliot: “non smetteremo di esplorare, e la fine di tutta la nostra esplorazione, sarà arrivare dove abbiamo iniziato e conoscere il luogo per la prima volta.”